
Autore: Tonia Festa
| 6 Febbraio, 2025
“Perché a me?” è una domanda che tutti, prima o poi, ci siamo posti. Una domanda che nasce quando il dolore, la frustrazione o la difficoltà sembrano invadere la nostra vita senza motivo, quando nulla sembra giustificare ciò che stiamo vivendo. È una domanda che scava nel profondo, mettendo in discussione non solo ciò che ci accade, ma anche il nostro posto nel mondo.
In quei momenti, la sofferenza sembra sfuggire a ogni logica, a ogni spiegazione.
Eppure, proprio in quella domanda, si nasconde la possibilità di una riflessione più profonda, capace di trasformare ciò che ci accade in qualcosa che va oltre la mera esperienza del dolore.
Sigmund Freud definì l’uomo come un essere diretto verso il “piacere”. Adler lo definì orientato al “potere”. Viktor Frankl, psicoterapeuta austriaco e sopravvissuto all’Olocausto, vedeva l’uomo come un essere diretto verso il “senso”. La sua teoria, la logoterapia, si fonda sull’idea che la ricerca di significato sia la motivazione primaria dell’essere umano. Frankl, nella sua opera fondamentale L’uomo in cerca di senso, afferma che la sofferenza è inevitabile, ma che è la nostra reazione a essa che definisce chi siamo. Ogni essere umano, a un certo punto della sua vita, è
costretto a fare i conti con il dolore, la perdita, la difficoltà, ma l’approccio che scegliamo verso la sofferenza è ciò che determina il significato che essa acquista nella nostra vita.
Quando ci troviamo di fronte a eventi traumatici o sfide dolorose, la sofferenza può sembrare dominare ogni angolo della nostra esistenza. In questi momenti, sembra difficile vedere oltre il dolore e non chiedersi “Perché a me?”. Frankl suggerisce però che proprio in queste circostanze, è fondamentale cercare un significato superiore alla propria esperienza. La sofferenza, allora, non deve essere vista come qualcosa da subire passivamente, ma come un’opportunità di crescita. La domanda “Perché a me?” non è solo un tentativo di trovare una spiegazione razionale per ciò che accade, ma l’inizio di un processo di riorganizzazione dell’identità e di costruzione di significato. In questo processo, non si tratta solo di resistere al dolore, ma di trovare un modo per integrare
la sofferenza come parte di un’esperienza più complessa, che ci aiuti a comprendere meglio chi siamo e cosa vogliamo diventare.
Frankl, partendo dalla sua personale esperienza nei campi di concentramento nazisti, sosteneva che, sebbene non possiamo controllare tutto ciò che accade nella nostra vita, abbiamo sempre il potere di scegliere come rispondere agli eventi. La sofferenza ci mette di fronte a una scelta cruciale: restare prigionieri della nostra disperazione e rassegnazione, oppure cercare un significato più profondo nella nostra esistenza. In fondo, non è tanto il dolore in sé a definire la nostra vita, ma come reagiamo ad esso e come lo incastriamo nel più ampio puzzle della nostra esperienza. La vera libertà, secondo Frankl, sta nella nostra capacità di dare un significato alla sofferenza, nonostante le circostanze esterne. La logoterapia ci invita a non vedere la sofferenza come una condanna, ma come una possibilità di trasformazione, di riscoperta di sé. Nel corso della storia della psicologia, altre teorie hanno trattato la sofferenza e il significato. Pensiamo alla resilienza, un altro
concetto fondamentale che accompagna questa riflessione. La resilienza è la capacità di affrontare le difficoltà e di superarle, ma non solo in termini di resistenza. Significa anche trasformare il dolore in una risorsa, permettendo che esso non diventi un fardello che appesantisce l’anima, ma una forza che ci spinge ad evolverci, a trovare un nuovo scopo. I teorici della resilienza, come
Norman Garmezy e Michael Rutter, parlano di un processo dinamico che non riguarda semplicemente il superamento del trauma, ma la capacità di integrare il dolore come parte di un’esperienza esistenziale che arricchisce e permette di crescere. La domanda “Perché a me?” ci invita, infatti, a riflettere sulla nostra capacità di darci una risposta che ci aiuti a dare un significato alle esperienze dolorose. Questo processo di introspezione e rielaborazione può essere doloroso, ma è essenziale per costruire un’identità più autentica e consapevole.
Questa riflessione sul significato della sofferenza si intreccia anche con il pensiero di altri filosofi e psicologi esistenziali. Rollo May, ad esempio, sostiene che la sofferenza è una parte inevitabile della condizione umana, e che solo confrontandoci con essa possiamo realmente entrare in contatto con il nostro sé profondo. La sofferenza ci fa uscire dalla nostra zona di comfort, ci costringe a fare i conti con i nostri limiti e a ricercare una forma di autenticità che va al di là delle apparenze. Lo stesso discorso vale per Irvin Yalom, che sottolinea l’importanza di affrontare la nostra mortalità e le nostre angosce esistenziali per poter vivere pienamente. La domanda “Perché a me?” è quindi un invito a rivedere la nostra vita, a darci nuove prospettive e a cercare un senso anche nelle situazioni più difficili.
Nel momento in cui una persona riesce a trovare un senso nella sofferenza, quest’ultima non diventa più un’esperienza di pura distruzione, ma una parte integrante della sua crescita.
Frankl, in tal senso, affermava che “La sofferenza può essere trasformata in un’opportunità di crescita”. Quando riusciremo a trovare un senso anche nelle esperienze più dolorose, potremo rispondere alla domanda “Perché a me?” con una consapevolezza che ci permetterà di vedere la sofferenza non come una punizione, ma come una possibilità di trasformazione. La domanda stessa, quindi, si carica di un valore esistenziale profondo: non è la risposta che dobbiamo cercare, ma il cammino che intraprendiamo nel cercare di dare un significato alla sofferenza che viviamo.
La sofferenza, come insegnano Frankl e altri pensatori esistenziali, non è una condanna definitiva, ma una porta che ci invita a guardare oltre, verso una vita più consapevole, autentica e significativa. La risposta alla domanda “Perché a me?” non è una formula pronta, ma un processo continuo di introspezione, ricerca e trasformazione.
Quando ci confrontiamo con il dolore e decidiamo di dargli un senso, scopriamo che la sofferenza può diventare una chiave per aprire nuove porte verso il nostro futuro, verso una vita più ricca di significato e di autenticità.
La sofferenza è inevitabile, ma la sua trasformazione in opportunità di crescita è nelle nostre mani. La domanda “Perché a me?” ci spinge a cercare un significato, ma sta a noi rispondere a questa
domanda, non con la ricerca di una spiegazione definitiva, ma con l’impegno di dare alla nostra vita un significato profondo e autentico. Quando accogliamo la sofferenza come una parte della nostra esperienza, invece di temerla, possiamo scoprire che essa è una risorsa per la nostra evoluzione.
Come risponderai alla domanda “Perché a me?” nella tua vita?
Bibliografia
Frankl, V. E. (1984). L’uomo in cerca di senso.
Feltrinelli.
Frankl, V. E. (1969). The Will to Meaning:
Foundations and Applications of Logotherapy.
New York: World Publishing Company.
Yalom, I. D. (1980). Existential Psychotherapy.
New York: Basic Books.
May, R. (1969). The Meaning of Anxiety. New
Haven: Yale University Press.