affrontare il lutto

Autore: Adele Miriam Cirmi

| 9 Settembre, 2024

Il lutto è la condizione in cui ci si trova in seguito alla morte di una persona cara. La perdita può essere più o meno improvvisa e ciò ha ricadute importanti sulla possibilità, per il soggetto che vive l’esperienza, di acquisire consapevolezza del nuovo stato di fatto. In particolare, quanto più l’esperienza è improvvisa, traumatica, inaspettata e violenta, tanto più l’adattamento che viene richiesto a chi deve gestire ed elaborare il lutto risulta complesso, faticoso, portatore di emozioni tra loro spesso contraddittorie. Il lutto è stato definito da Wolfenstein anche come una particolare forma di reazione alla perdita, ossia quella in cui il doloroso e prolungato compito di ricordare e sperimentare la realtà ci allontana gradualmente dall’oggetto perduto. Così intenso, il lutto si configura come l’affrontare il ricordo di chi non c’è più, situazione che può essere più o meno dolorosa. Attraversare ciò significa rientrare in contatto con la realtà segnata dalla perdita, ricreare nuovi equilibri e relazioni, per stemperare il dolore vivo generato dall’assenza della persona. Il lutto è un’esperienza che attraversa la strada di grandi e bambini, più o meno all’improvviso, e che, oltre a renderci consapevoli della mortalità dell’essere umano, ci fa capire che chi muore non ci porta con sé. I defunti non trascinano con sé i vivi, la morte non ferma la vita. La scoperta della morte è un passaggio evolutivo inevitabile. Riuscire a pensare alla morte come a un passaggio naturale della vita comporta una maturazione e una profondità di pensiero che non tutti hanno, soprattutto se si pensa ai bambini e ai minori in genere, motivo per cui diventa fondamentale per loro avere a fianco adulti fatti e finiti capaci di pensare, vedere e toccare le profondità del cuore e dell’anima (la propria e quella degli altri) e di farne materia di condivisione emotiva nella relazione esclusiva che unisce chi si vuole bene). Non è possibile tracciare un profilo unico di reazioni, ma possiamo descrivere quelle che più comunemente compaiono nelle fasi successive alla perdita e che possono avere durata più o meno variabile nel tempo. Nel lutto si manifestano sentimenti ed emozioni, spesso contrastanti, che possono comparire insieme, suscitando sconcerto e imbarazzo sia nelle persone in lutti sia in chi sta loro vicino. Questi sono:

  • shock;
  • incredulità e rifiuto;
  • dolore, proprio e per i propri congiunti;
  • senso di impotenza;
  • rabbia nei confronti del defunto per l’abbandono;
  • rabbia verso chi ne ha causato o non ne ha impedito la morte;
  • sollievo per la fine della sofferenza del morente e della propria sofferenza;
  • ambivalenza, cioè alternanza di sentimenti positivi e negativi nei confronti del defunto;
  • senso di colpa per non essere riusciti a evitare la morte e per i sentimenti negativi provati;
  • ansia e paura della morte;
  • depressione;
  • senso di abbandono;

Spesso possono presentarsi anche i sintomi a livello fisico, alcuni dei quali si caratterizzano per la manifestazione di una modalità estrema tra i due opposti selezionabili:

  • eccessiva stanchezza o vigore in esubero;
  • mancanza d’appetito o eccessivo appetito;
  • insonnia o sonno in eccesso;
  • dolori o disturbi somatici vari;
  • fenomeni transitori di identificazione con eventuali sintomi della malattia di cui è morto il proprio caro;
  • senso di oppressione al petto.

Le quattro fasi di decorso del lutto che generalmente si sviluppano sono le seguenti (Bowlby, 1982):

  1. Fase del torpore e dell’incredulità, che dura da poche ore a una settimana e che può essere interrotta da attacchi di angoscia e/o di collera di strema intensità. In questa fase, la persona prova a resistere all’idea e alla consapevolezza della perdita della persona amata. È come se una strana forma di anestesia emotiva intervenisse a placare il trauma e lo shock per la perdita subita. Si pensa a chi ci ha lasciato, ma non ne percepisce realmente l’abbandono definitivo. Si sta lì, come se fosse successo qualcosa di grave, che non sembra a prima vista così. Quasi tutte le persone che hanno vissuto un lutto importante sanno cosa si nasconde dietro a queste parole. Potremmo quasi pensare che, quando il dolore è troppo grande, il nostro assetto emotivo prova a difendersi staccandosi completamente dal fronte cognitivo. Come a dire: la morte della persona amata viene vista, può essere pensata e può trasformarsi in dato di fatto, ma a tali pensieri non segue l’associazione con un vero e proprio sentire emotivo. Si assiste cioè, in questa prima fase, a una dissociazione tra l’esperienza vissuta e le emozioni che essa genera. Il fronte emotivo appare qui congelato e sospeso, ma si dispiega invece in tutta la sua forza e intensità nella seconda fase. Ci sono persone che si bloccano nella prima fase. Il congelamento emotivo fa illudere che il lutto vissuto possa essere dimenticato presto e spesso si buttano subito nel lavoro, negli impegni personali, come a voler scotomizzare la portata dell’evento per evitare che esso possa entrare nel proprio mondo interno e arrivare a scompaginare tutto, a mettere disordine, a scatenare il temporale delle emozioni dolorose. Così ci si nasconde dentro e dietro a lavoro, agli impegni e alla frenesia, pensando che i sentimenti dolorosi possano essere dimenticati. Ma prima o poi essi riemergeranno con un’intensità ancora maggiore.
  2. Fase dello struggimento e della ricerca della figura persa, che dura mesi e spesso anni. In questa fase, quando si manifesta, il soggetto stesso di solito rimane impressionato dalla violenza e subitaneità con cui il dolore irrompe nel suo sentire emotivo. Compare un senso di agitazione e preoccupazione al pensiero della persona scomparsa, spesso in contemporanea alla sensazione del suo ritorno (si interpretano rumori e segni come indizi della sua presenza). È impellente il bisogno di recuperare chi non c’è più. Manifestazioni di ricerca sono:
    • muoversi sena tregua ed esplorare l’ambiente;
    • pensare intensamente alla persona scomparsa;
    • sviluppare una sensibilità percettiva (disposizione a percepire stimoli che alludano alla persona scomparsa);
    • dirigere l’attenzione verso i luoghi dell’ambiente in cui potrebbe trovarsi la persona;
    • reclamare la persona scomparsa.
      Due manifestazioni tipiche di questa fase sono il pianto e la collera.
  3. Fase della disorganizzazione e disperazione. I sentimenti più intensi e disturbanti, a cui dà luogo la morte di una persona cara, sono il timore di essere abbandonati, lo struggimento per la figura scomparsa e la collera per l’impossibilità di ritrovarla; tali sentimenti sono collegati da una parte all’impulso di ricercare i defunto e dall’altra alla tendenza a rimproverare aspramente chiunque venga ritenuto responsabile della perdita o in qualche modo di ostacolo al recupero di colui che non c’è più. Lungi dall’adattarsi alla realtà, spesso chi è colpito dalla perdita ingaggia una lotta con il passato. Per chi si pone come sostegno a chi sta vivendo il lutto, è infruttuoso lo sforzo di ricondurre alla realtà chi soffre, mentre è utile guardare i fatti dal suo punto di vista e rispettare le sue sensazioni (anche se alcune appaiono irrealistiche) per facilitare l’espressione di ciò che gli sta esplodendo dentro.
    Nel caso di minori, chi è vicino a coloro che soffrono dovrebbe essere disposto a prendere in considerazione ogni speranza, desiderio, recondita possibilità che essi ancora nutrono, ogni rimpianto, rimprovero o delusione che li affligge. È molto importante accettare un loro temporaneo allontanamento dalla realtà, una parte di irrazionalità nel tentativo di ricostruire un nuovo equilibrio. Nei bambini e nei ragazzi queste manifestazioni devono essere transitorie e occasionali. Se persistono, è necessario ricorrere ad un sostegno competente.
  4. Fase di maggiore o minore grado della riorganizzazione. Quest’ultima fase prima o poi compare, anche se l’evoluzione verso un nuovo equilibrio può essere discontinua. Deve subentrare il bisogno di riorganizzare la propria esistenza, di sperimentare di nuovo uno stato di benessere. I segni della perdita resteranno indelebili nella memoria e il percorso di vita sarà in qualche modo condizionato, ma ciò non significa ridurre la speranza nel futuro che chiunque ha il diritto di avere.
    L’elaborazione del lutto non è un processo lineare. È importante comprendere e rispettare il fatto che implicherà momenti in cui la persona si sentirà meglio e momenti in cui potrà contattare nuovamente stati emotivi dolorosi. Tuttavia, se dopo diversi mesi dalla perdita, la persona non ha mai espresso emozioni dolorose, o se, al contrario, sono ancora presenti in maniera significativa umore basso, tristezza, rabbia, colpa o ritiro sociale, con ripercussioni sul suo funzionamento generale, un percorso di psicoterapia potrebbe rivelarsi utile. Chiedere aiuto non è mai segno di debolezza.
    Il lutto può essere pensato come una terra smossa dal terremoto, sconvolta nella forma ma pronta ad accogliere e far germogliare nuovi semi, ospitare nuove case. I segni della distruzione restano, ma la vita non tarda a ricreare un nuovo equilibrio, laddove anche la deflagrazione è stata violenta ed improvvisa. Pensare al lutto come a un periodo che, oltre a molto dolore, può recare con sé anche tracce di possibili speranze è il primo difficile passo per chi vuole aiutare qualcuno a ripartire.

 

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About the Author: Adele Miriam Cirmi

Dottoressa Adele Miriam Cirmi
Psicologa, iscritta all'albo degli Psicologi della regione Sicilia. Master in Psicopedagogia e didattica per i disturbi specifici dell’apprendimento. Percorso di formazione docenti, classe di concorso Filosofia e Scienze Umane. Socia e dipendente della Cooperativa Sociale ISKRA, operante nel servizio di Assistenza Domiciliare ai Minori e alle loro Famiglie e Operatrice del Centro Diurno "L' Isola che non c'è", presso il comune di Marsicovetere.