Autore: Adele Miriam Cirmi

| 18 Novembre, 2024

I disturbi dell’umore nei bambini e negli adolescenti sono purtroppo molto meno rari di quanto a volte si creda. Depressione è un termine generico che si riferisce sia a un grave abbassamento del tono dell’umore, sia a lievi turbamenti della sfera emotiva. Si tratta di una patologia che investe l’intero organismo ed influenza la vita psichica, le emozioni e i pensieri, interferendo sul normale funzionamento della persona, sui suoi comportamenti, sui suoi rapporti con la famiglia e con gli amici.

È ormai accertato che la depressione è una condizione di sofferenza emotiva abbastanza diffusa nei bambini, anche se troppo spesso ancora oggi i sintomi mentali, emotivi e comportamentali nei bambini sono sottovalutati o attribuiti superficialmente a problematiche transitorie dovute alla crescita. Spesso, la depressione in età evolutiva non viene riconosciuta anche a causa della diffusione di svariate credenze che portano a sottovalutare i sintomi di depressione durante l’infanzia o l’adolescenza.

Una delle convinzioni erronee più comuni è quella di ritenere che l’infanzia sia un periodo spensierato e felice e che quindi i bambini non abbiano stress o problemi tali da indurre una modificazione dell’umore in senso patologico. Recenti ricerche hanno dimostrato invece che i primi sintomi della patologia depressiva si osservano già al di sotto dei dieci anni di età e che la soglia d’età di insorgenza di questo disturbo si sta abbassando in modo allarmante. Molte ragioni per le quali i bambini sono oggi più depressi sono da imputare anche allo stile di vita che fa aumentare le condizioni di stress facilitanti l’insorgenza del disturbo depressivo: oggi i bambini sono molto più stimolati e crescono sotto pressioni più forti, con un minor supporto a casa e vivono in un ambiente sociale sempre più impersonale e spersonalizzante che consente una quantità molto minore di contatti interpersonali e di attività. Un’altra ragione che ostacola il riconoscimento della depressione infantile è dovuta al fatto che molti genitori tendono a sottovalutare i sintomi del proprio figlio ed eludere il senso di colpa che proverebbero qualora prendessero piena consapevolezza della sua sofferenza. Questa è una forma particolarmente pericolosa di evitamento che può compromettere seriamente le condizioni emotive del bambino.

Vari studi (Stark, 1995) hanno dimostrato una sostanziale continuità tra la depressione infantile e quella in età adulta e questo fa capire come siano importanti i tentativi di una diagnosi precoce, sia ai fini prognostici sia, soprattutto, a fini preventivi. Una volta che un bambino ha avuto un Episodio Depressivo, se riusciamo a lavorare su di lui per migliorare le proprie capacità di coping e di problem solving, le interazioni sociali, l’autostima e il rendimento scolastico (per fare solo alcuni esempi), abbassiamo le probabilità di una recidiva e, di conseguenza, dello sviluppo di una depressione in età adulta.

La prevalenza del Disturbo depressivo maggiore in psicopatologia dello sviluppo si aggira tra lo 0,5 e il 3% della popolazione generale nell’infanzia e tende a crescere all’avvicinarsi dell’età pre-adolescenziale raggiungendo il 10-15%. Sembra ormai dimostrato un abbassamento, in questi ultimi anni, dell’età di insorgenza del Disturbo depressivo maggiore (anche prima dei dieci anni di età). La prevalenza sale poi in modo significativo se il bambino, o, ancor più l’adolescente, vive in una comunità di accoglienza (5%), oppure è ospedalizzato (20-40%, a seconda delle motivazioni del ricovero).

Si è accertato inoltre che la depressione ha una frequenza pressoché equamente distribuita fra i sessi fino a circa 12 anni, mentre dopo questa età si registra un’inversione a favore delle femmine con il picco più alto per le ragazze nell’adolescenza.

Purtroppo si è visto che le depressioni dell’età infantile e giovanile spesso non sono disturbi passeggeri che i bambini superano con l’età. Anche se la maggior parte di loro con un trattamento adeguato migliora più rapidamente di un paziente adulto, molti bambini soffrono in seguito di ricadute (60%) che possono trasformarsi in un disturbo psichico ricorrente con elevato rischio di suicidio. Inoltre, anche quando non ci sono ricadute vere e proprie, un Disturbo depressivo maggiore non trattato in età evolutiva porta spesso al rischio a lungo termine di malfunzionamenti nelle aree sociali e interpersonali e un senso di insoddisfazione nei confronti di molteplici aspetti inerenti la vita.

I bambini che hanno avuto un esordio precoce di sintomi depressivi tendono ad avere una manifestazione più duratura del disturbo che tende a cronicizzarsi. Infine, minore è l’età in cui comincia l’episodio depressivo, maggiore è il tempo necessario per la guarigione.

Quando si valuta il bambino depresso è utile sondare le modalità di pensiero del bambino, indagando sul tipo di distorsioni cognitive presenti in lui, sulle sue aspettative presenti per il futuro e su come attribuisce la causalità degli eventi. È inoltre necessario chiedersi se il bambino presenta un deficit di abilità sotto il profilo comportamentale e qual è la sua natura, verificando se il bambino ha bisogno di un training alle abilità sociali o all’assertività o se invece presenta un deficit nelle abilità di autocontrollo.

Alcune manifestazioni di tipo depressivo, da prendere in considerazione per stabilire la presenza di problemi a questo livello e decidere eventualmente di intervenire, sono:

  • Frequenti comportamenti di fuga e di evitamento da situazioni problematiche, difficili, potenzialmente ansiogene, o anche situazioni <normali>;
  • Incapacità di affrontare le situazioni spiacevoli che possono verificarsi;
  • Visione negativa di se stessi;
  • Visione negativa delle proprie attuali esperienze;
  • Visione negativa del futuro.

Alcuni aspetti disfunzionali nel modo di pensare vanno ricercati in ciò che costituisce lo stile esplicativo del bambino. Con tale termine ci si riferisce al modo in cui gli individui danno significato agli eventi, positivi e negativi, in cui si imbattono. Secondo Seligman (1990) esistono tre dimensioni fondamentali dello stile esplicativo, esse sono la permanenza, la pervasività e la personalizzazione. Cosa si intende con tali termini?

La dimensione di permanenza si riferisce al fatto che un evento può essere considerato come qualcosa di stabile e immodificabile oppure, al contrario, qualcosa di transitorio e modificabile. Le persone (adulti o bambini) più a rischio di depressione sono coloro che ritengono che gli eventi spiacevoli che si verificano nella loro vita siano permanenti, per cui se qualcosa non va come dovrebbe andare, ciò significa che sempre le cose non andranno mai come dovrebbero andare. Coloro che invece sono più resistenti alla depressione tendono a considerare gli eventi spiacevoli solo temporanei.

Un’altra dimensione dello stile esplicativo riguarda la pervasività, ossia il fatto che l’esito negativo o positivo di un evento viene esteso a tutti gli altri eventi. Alcuni bambini riescono a mantenere i propri fallimenti e le proprie sventure in compartimenti separati, altri invece se qualcosa loro va storto, considerano il singolo evento negativo come parte di una serie interminabile di fallimenti. Quando si verifica un evento positivo, la persona ottimista ritiene di avere buone possibilità che anche altri eventi abbiano un risultato positivo. La persona pessimista invece ritiene che i risultati positivi siano limitati a quello specifico evento. Le ricerche hanno dimostrato che i bambini che considerano gli eventi positivi come facenti parte di qualcosa di globalmente positivo hanno maggiori probabilità di affrontare con successo le sfide che incontrano nel corso della loro vita.

Una terza dimensione dello stile esplicativo è la personalizzazione. Questa dimensione riguarda il modo in cui gli individui si spiegano la causa di un evento. Quando si verifica qualcosa di negativo l’individuo può attribuirne la causa esclusivamente a se stesso (personalizzazione interna), oppure può accusare qualcun altro o le circostanze sfavorevoli (personalizzazione esterna). Questa dimensione ha enormi ripercussioni sull’autostima, la quale è in gran parte influenzata dal fatto che rivolgiamo a noi stessi o ad altri il biasimo per l’evento negativo. Così un bambino che svaluta se stesso quando non riesce in qualcosa, tenderà ad avere un bassa autostima. Un’altra condizione emotiva influenzata dalla tendenza a personalizzare l’esito di un evento è il senso di colpa. In questo caso la personalizzazione assumerà la forma di autocondanna. Il bambino apprende gran parte del proprio stile esplicativo dalle persone significative del suo contesto relazionale, quindi soprattutto dai genitori, i familiari, i coetanei, gli insegnanti.

Alcuni sintomi classici a cui porre attenzione sono l’umore disforico (il sentirsi tristi), l’umore collerico o irritabile, la tendenza al pianto, la convinzione di non essere amati, l’autocommiserazione, le valutazioni negative di sé, il senso di colpa, le difficoltà di concentrazione, la difficoltà nel prendere decisioni, la chiusura sociale, il peggioramento delle prestazioni scolastiche, l’affaticamento, il rallentamento oppure l’agitazione psicomotoria. Nel momento in cui si acquisisce consapevolezza degli effetti debilitanti prodotti da livelli gravi depressione nei bambini e negli adolescenti, la valutazione e la diagnosi precoce di questo disturbo diventa sempre più importante. Negli ultimi anni terapeuti, psicologi, insegnanti e ulteriori figure professionali hanno cominciato a rendersi conto che i disturbi dell’umore colpiscono migliaia di giovani e possono manifestarsi i qualsiasi momento del processo evolutivo, dall’infanzia o dall’adolescenza fino all’età adulta. Identificare i sintomi associativi a livelli gravi, potenzialmente patologici, è il primo passo di un processo di valutazione che può condurre ad una diagnosi precisa e, quindi, a un intervento adeguato. Non aver timore di chiedere aiuto.

Bibliografia
Cunico M. (2004), Educare alle emozioni, Roma, Città Nuova.
Dacamo M. e Pizzo S. (2012), La depressione infantile. Terapia cognitivo-comportamentale con bambini e adolescenti, Bologna, Il Mulino.
Dalai Lama e Goleman D. (2003), Emozioni distruttive, Milano, Mondadori.
Le Guide (2019), Disturbi emotivi a scuola. Strategie efficaci per gli insegnanti, Trento, Erickson.
Miceli M. (1998), L’autostima, Bologna, Il Mulino.
Roberts R. e Di Pietro M. (2004), Positiva-mente, Trento, Erickson.
Seligman M.E.P (199), Imparare l’ottimismo, Firenze, Giunti.

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About the Author: Adele Miriam Cirmi

Dottoressa Adele Miriam Cirmi
Psicologa, iscritta all'albo degli Psicologi della regione Sicilia. Master in Psicopedagogia e didattica per i disturbi specifici dell’apprendimento. Percorso di formazione docenti, classe di concorso Filosofia e Scienze Umane. Socia e dipendente della Cooperativa Sociale ISKRA, operante nel servizio di Assistenza Domiciliare ai Minori e alle loro Famiglie e Operatrice del Centro Diurno "L' Isola che non c'è", presso il comune di Marsicovetere.